Informazioni personali

La mia foto
Castegnato, Brescia, Italy
Da qualche parte ho letto che chi va in montagna è sempre in cerca di qualcosa … non so se è una regola valida per tutti gli alpinisti, sicuramente lo è per me. Sono Massimiliano Bocchio, nato il 29 maggio del 1980, cresciuto a Calcinato e dal luglio 2012 residente a Castegnato. Mi sono diplomato come geometra nel 1999 al Tartaglia di Brescia, con il massimo dei voti, e ho studiato architettura al Politecnico di Milano, fermandomi a pochi esami dalla Laurea. Ho lavorato in alcuni studi tecnici come geometra e progettista d’interni, ho fatto l’agente di commercio per due anni e ora, dall’ottobre 2010, sono responsabile dell’ufficio tecnico presso un azienda di bagni prefabbricati. Oltre al mio lavoro diurno, c’è dal 1999, un lavoro notturno come dj che amo e che mi permette di coltivare una delle mie passioni ossia la musica. Amo la montagna,l'alpinismo è diventanto parte inscindibile della mia vita. Questo blog nasce dalla voglia di mettere in ordine pensieri, esperienze e sogni.

sabato 22 dicembre 2012

Machu Picchu, Val Daone 22/12/2012


Fra le candidate per scaldare le braccia e riprendere confidenza con il ghiaccio, machu picchu in val daone è un nome che spunta sempre, vuoi perché non c’è troppo da cammina e vuoi perché il grado è decisamente accessibile.
Pronti via, formazione in formato XL con cordata da tre, la cordata Bocchio-Lancellotti si arricchisce del sempre verde Macca, neo papà.
Causa ciaspolata in Maniva serale in super compagnia, la partenza è super presto, alle 7 e qualche minuto siamo alla “sbarra” peccato che le temperature sono decisamente sopra la media.
Solita camminata che non finisce più lungo la strada chiusa che sale nella vale e poi op...come per magia machu picchu è li che ci aspetta.
Per me e il macca è il secondo giro su questa classica, l’avevamo fatta insieme nel 2010 ma in condizione molto diverso…ossia molto più “cicciottella”.
Soliti preparativi infiniti classici per una salita su ghiaccio e si parte, primo tira parte il macca; ghiaccio duro, un po’ di “cristalleria” ma la classe non è acqua (evito battute) e la sosta a corda quasi finita arriva con tranquillità.
Tiro secondo e terzo me li pappo io molto volentieri…ordinaria amministrazione, un po’ di ghiaccio secco, un po’ di buchi, un po’ di neve…seconda sosta molto bagnata, terza sosta meno.
Ultimo tiro…Luca! La sua prima da primo! Io e il macca ci ricordavamo una pianta a sinistra per la sosta…ma Luca non la trova…semplicemente perché non c’è! Solo arbusti che danno poca fiducia. Super sosta su ghiaccio e ci recupera. Il tempo però stringe e non possiamo fare l’ultimo pezzo e scendere a piedi, optiamo per delle doppie.
mmmm… c’è da fare un abalakof però…inizia a provarci il macca con il mio “affarino da abalakof” della black diamond ma senza buoni risultati…allora provo io andando “alla vecchia” e riesco a farne una…
scende Luca e poi il Macca (oltre alla abalakof ovviamente ci sono due viti che possono intervenire in caso ci fossero problemi)…poi è il mio turno…e ovviamente devo rimuovere le viti!
Ammetto che un pochettino di streppa l’ho presa…ma il “giochetto” nel ghiaccio funziona bene e arrivo in sosta, le altre calate sono tutte su spit quindi giù veloci.
Che dire... machu picchu…è sempre un piacere!

martedì 16 ottobre 2012

16 ottobre 2011

È da molto che volevo prendere carta bianca virtuale e tastiera per mette giù nero su bianco qualche pensiero su di te, ora, dopo un anno esatto che te ne sei andato forse è arrivato il momento.
Da dove partire? Forse dall’ultima volta che ti ho visto.
Era già settembre, il caldo fastidioso dell’estate si era quietato, eravamo a Virle alla corna rossa, io ero su polvere e tu sul 7a di fianco, libera avventura se non ricordo male, come sempre eri molto concentrato e sul passo chiave hai detto guardando in giù “occhio Anello” e sei passato via...via verso l’alto come sempre.
Solo un’altra volta ho avuto il piacere di incrociarti in parete...in Brentino e anche in quel caso il ricordo è vivissimo dentro di me.
Io e il mio socio dell’epoca eravamo alle prese con la seconda o terza doppia di discesa. Tu stavi salendo con un compagno che non era un volto noto e che sembrava più impaurito di me su un 6b all’epoca.
Ci siamo salutati con parole di circostanza, eravamo tutti 4 appesi ad un pianta su una buona cengia e abbiamo aspettato un attimo mentre tu partivi prima di iniziare la nostra discesa.
Di fronte a te c’era una placca che per come la vedevo all’epoca era improponibile, pochissime caccole svasate e qualche buco...con una calma quasi innaturale sei partito, respirando profondamente e passo dopo passo sei salito, con quell’atteggiamento di chi stesse facendo la cosa più naturale del mondo.
La cosa mi impressionò un sacco, non era solo tecnica e esperienza, ma anche e sopratutto una lucidità mentale superiore alla media senza ombra di dubbio.
Solo una volta abbiamo parlato. Al grillo in maddalena, la tua amata maddalena.
Ci siamo fermati per una birra dopo la “sfalesiata” e amici comuni hanno fatto si che la tavolata fosse unica.
Si parlava di roccia, di vie, dell’estate appena trascorsa e di progetti.
Io per non sentirmi piccolo più di quanto già mi sentivo, buttai nella discussione l’unica cosa davvero seria che avevo fatto all’epoca, se pur da secondo e se pur con non pochi problemi.
La Messner al Sas de la Crus.
In un secondo ti sei girato di scatto...mi hai guardato e mi hai chiesto: ”hai fatto la Messner al Sas de la Crus?” e io timidamente ho detto si...ma ho subito specificato che avevo fatto la via “il grande muro” non la più famosa , posta più a sinistra sulla parete e con il famoso passaggio di VIII o qualcosa del genere che nessuno era riuscito a liberare.
Mi hai fatto i complimenti e mi hai parlato un pò della via “principale” anche se non ho mai controllato se l’hai fatta o meno.
Mi avevi parlato...e io ero molto felice.
Ci sono persone che capita d’incontrare nella vita, dalle quali si percepisce “qualcosa”, qualcosa che li rende speciali, unici, diversi.
Quando da piccolo mi chiedevano chi era il mio “mito” rispondevo, e rispondo tutt’ora, che non ne ho...ho una serie di persone che ammiro e in cui vedo molto di me stesso.
Uno dei miei riferimenti come personaggi è Jim Morrison.
Spesso quando ascolto un pezzo dei Doors in macchina, magari per caricarmi un pò dopo una giornata pesante in ufficio, penso “cazzo questo qua è morto a 27 anni e io ho ancora la pelle d’oca ad ascoltare i suoi pezzi”.
Viene natuarale chiedersi cosa di noi resterà al mondo...ma fa anche pensare a quanto intensamente è riuscito a vivere per lasciare un segno cosi forte.
Una sua frase dice che la candela che brucia dai due lati fa molto più luce ma finisce prima.
Nulla di più vero, ma ci sono candele che non bruceranno mai, passeranno tutta la loro esistenza come tristi soprammobili da spolverare, alcune bruciano lentamente per fare compagnia a qualche altare vuoto...e poche...pochissime bruciano “forte”.
Non sò se è una scelta della candela bruciare forte o se semplicemente per lei è l’unico modo di esistere, sò però che quando una candela di questo tipo c’è si vede la differenza di luce e quando non c’è più il buio sembra più buio.
Ho sentito diverse versioni su cosa ti è successo il 16 ottobre sulla Nord del Cervino ma è davvero tutto chiaro solo per te.
Quello che è chiaro qua è che la tua luce c’è ancora, tra chi ti ha amato, tra chi ti ha voluto bene e tra chi come me ti ha ammirato tantissimo.

ciao Beppe.


“In un mese di vita intensa fra le montagne si vivono molti anni. È una occupazione per uomini bramosi di vivere; e vita, noi uomini, ne abbiamo troppo poca”.
Jerzy Kukuczka

 

 

 

 

giovedì 9 agosto 2012

Cervino - cresta del Leone

Cosi la fortuna, al nostro primo tentativo, ci sorride.
Virgilio
“Non è necessario addentrarsi in descrizioni minuziose del Cervino, dopo tutto quello che è stato scritto a proposito di questa conosciutissima montagna. Chi ha interesse a leggere questo libro saprà già che la vetta è alta più di 4500 metri, e che si erge bruscamente, con una serie di pareti che si potrebbero con proprietà definire veri precipizi, per lo meno 1500 metri sopra i ghiacciai che ne circondano la base. Sanno anche di certo che questa fu l'ultima grande vetta alpina a rimanere inviolata, non tanto per la difficoltà della scalata, quanto invece per il terrore ispirato dal suo aspetto invincibile. Sembrava esserci un cordone teso intorno alla vetta, a segnare il limite fino al quale era permesso giungere. Al di là di quella linea invisibile si diceva esistessero folletti, coboldi e demoni di ogni genere, l'Ebreo errante e gli spiriti dei dannati. I superstiziosi delle vallate intorno (molti dei quali credono ancora fermamente che il Cervino sia la vetta più alta non solo delle Alpi, ma del mondo) parlavano delle rovine di una città sulla cima, in cui dimoravano gli spiriti; e se qualcuno rideva, essi scuotevano la testa con espressione grave, dicendo di guardare con i propri occhi i castelli e le mura, e avvertendo di evitare un approccio troppo brusco, altrimenti i demoni infuriati, dalle loro altezze inespugnabili, avrebbero gridato vendetta per lo scherno subito.  Questa era la tradizione locale. Anche gli animi più forti subivano l'influenza di quella credenza meravigliosa; e uomini che di norma parlavano o scrivevano del tutto razionalmente, toccati dal potere di quella cima sembravano perdere il contatto con il buon senso e iniziavano a declamare come rapsodi, dimenticando per qualche tempo le regole del comune parlare. Anche il sobrio De Saussure si entusiasmò quando vide la montagna e, ispirato dallo spettacolo, anticipò le congetture dei geologi moderni nelle brillanti parole che si trovano in epigrafe a questo capitolo.
Il Cervino appare imponente, mai banale da qualunque parte lo si osservi: per questo aspetto, e a causa dell'impressione che la montagna esercita sugli spettatori, esso fa quasi classe a se fra le montagne. Non ha rivali nelle Alpi, e ne ha pochi nel mondo.”
Edward Whiper – La salita del Cervino

Un secolo e mezzo fa il primo uomo ad arrivare in vetta al Cervino lo descriveva cosi.
Forse è un analisi un po' fredda, in vero english style, ma ha il pregio di mostrare sia il lato “irrazionale” che quello “razionale” del Cervino.
Cosa c'è di razionale in un sogno?
Non ricordo con esattezza la prima volta che ho visto una foto del Cervino con occhi da Alpinista, di  sicuro non più di qualche anno fa, quando il mio mondo mi stava stretto e iniziavo ad aver bisogno di interiorizzare qualcosa in più del mondo che avevo intorno, in particolare del mondo della montagna.
È stato difficile fin da subito fermare fantasia e sogni, molte volte incazzato con il mondo progettavo di partire e scalarlo da solo ( cosa tra l’altro continuo a sognare), ma per fortuna quella razionalità quasi fastidiosa che mi accompagna mi sbatteva in faccia chiaramente che non ero preparato, tecnicamente, fisicamente e mentalmente sopratutto.
La prima volta che l'ho visto dal vivo me la ricordo bene, mentre salivo il mio primo 4000, il Breithorn, il Cervino era li che si mostrava a tratti fra le nubi di quel giorno, non avevo minimamente idea di quanta strada avrei dovuto fare per esserne quasi all'altezza...vedevo ancora tutto con la semplicità degli occhi di chi non sa.
Il Cervino, come altri grandi progetti, è stato un sogno “facile” da condividere con il mio super socio. Lo scorso anno però le condizioni non erano ottimali, ma forse, ora che l'abbiamo fatto dico...è stato meglio cosi.
Dall'inizio della stagione lo abbiamo tenuto sotto controllo come condizioni e salite fatte o meglio...Luca l'ha fatto, in queste cose è molto più preciso e puntuale di me!
Arriva la nostra settimana di agosto dedicata alle “scorribande” alpine, il Cervino però non è ancora in condizioni accettabili e optiamo per direzionare corde e moschettoni al piano 2...Marmolada!
Non ho scritto nulla sulla Marmolada perché non siamo arrivati in vetta per la via che sognavamo di fare...al 4 tiro abbiamo capito di aver attaccato troppo a destra e di esser saliti per 3 tiri di una via non descritta sulla guida e sconosciuta anche al preparatissimo gestore del rifugio (abbiamo trovato solo le soste).
La ritirata non è stata semplicissima, ho improvvisato un po' di “numeri” non certo presenti in nessun manuale ma che sono stati efficaci e utili. Esperienza comunque molto positiva.
Martedi 8 agosto partiamo, l'obiettivo della giornata è “solo” arrivare alla Capanna Carrel.
Le prime ore volano ma il sentiero non è mai troppo banale, segni praticamente inesistenti e la traccia da seguire è fra roccia e sfasciumi. La parte più tecnica e rognosa della salita è poprio sotto la cappana, canapponi da tirare con decisione per superare camini verticali, e qualche placca che da fare con scarponi e zaino è sempre molto piacevole!
Arriviamo alla capanna nei tempi previsti e ci rilassiamo un pò. La gente dietro di noi, principalmente con le guide, continua ad arrivare e i 50 posti entro sera sono tutti occupati.
Ceniamo presto sciogliendo un pò di neve per farci un risotto in busta, un grande classico per chi vive solo o per gli alpinisti! Dopo cena inizio ad avere qualche problemino, era da molto che non salivo in quota e questa volta mi ha legnato di brutto. Mal di testa fortissimo nonostante l’aspirina e senso di vomito. Notte pessima, praticamente senza dormire e la mattina sono uno straccio...ma siamo qua...proviamo!
La “corda della sveglia” è li che ci aspetta, trovare la traccia di salita non è banale nemmeno in pieno giorno, con le frontali diventa molto problematico. Ma piano piano saliamo sbagliando solo una volta. Le “frontali” che ci precedono e le guide del Cervino che ci sorpassano in tutti i modi possibili ci permetto di capire dove passare.
La notte pessima mi aveva stremato, le difficoltà mi sembravano probabilmente più elevate di quelle che realmente fossero e il vedere cosi tanta gente tirata su da guide arroganti come dei milanesi da gara, mi faceva pensare che forse...non era la mia giornata. Inizio a pensare che forse dovrei girare i tacchi e scendere, ne parlo con Luca che mi dice di decidere con serenità cosa fare, qua la lucidità serve tutta cosi come fiducia in se stessi e nel proprio socio. Troppe le assicurazioni “volanti” da fare e i passaggi non protetti magari facili ma che non perdonano errori...
Decido di arrivare al pic Tindal, quota circa 4200m, vedere orario e condizioni e poi valutare.
Luca prende un pò in mano la situazione stando davanti con sicurezza e saliamo...
Complice il sole e un pò di lucidità mentale in più inizio a star meglio...il pic Tindal arriva e ci fermiamo per mangiare qualcosa. Incontriamo una guida della val Saviore con un cliente, ci scambiamo qualche parola e nei passaggi più difficili ci si aiuta reciprocamente. La differenza di comportamento fra le guide del Cervino e la guida che abbiamo incontrato è stata davvero lampante. Le guide del Cervino procedono praticamente senza nessuna sicurezza, sorpassano in ogni punto e hanno  un modo di atteggiarsi del tipo :” la montagna è nostra, tu non sai un cazzo delle sue roccie, sei una merda, tornatene a casa”. La guida della val Saviore, di cui purtroppo non ricordo il nome ma solo la barba in stile Kamerlander, ci ha tranquillizzati, dato qualche consiglio e ci ha fatto capire che ci muovevamo bene.
Scendiamo dal pic Tyndal, non senza difficoltà e procediamo.
Sto molto meglio, il mal di testa non passa ma la fiducia è tornata.
La progessione continua, il tempo è perfetto e la “ressa” iniziale di persone inizia quasi a sparire.
Ogni tanto butto un occhio al mio Suunto per vedere la quota e per vedere l’ora, arrivare in vetta ad un orario accettabile è indispensabile ma ci siamo...siamo in linea con i tempi.
Alterno momenti in cui guardo a pochi cm dal mio naso ad altri in cui guardo a 360° intorno a me e mi stupisco di tanta bellezza.
...arriva la scala Jordan, l’ultima vera difficoltà (della salita), vediamo da lontano alcuni alpinisti che ci precedono e fa paura, espostissima, gradini in legno fissati a delle corde...il tutto a 4400m.
Non ho di certo una tecnica sopraffina di arrampicata per ora...ma in questo caso un utilizzo “violento” di braccia e dorsali dimostrano comunque di essere una soluzione valida ...e le supero bene.
A questo punto la cima è davvero vicina...iniziano a scattare in me un fiume di pensieri: “fanculo questo e quello” “tutti gli allenamenti sono ripagati” “cosa si perde il mondo che non sale e non sa...”.
I ramponi sono sulla neve ghiacciata della cresta ora, guardo i miei piedi e non trovo roccia su quali appoggiarli, Luca è davanti, procede con passi  regolari...e poi arriviamo in quel punto dove non si sale più, dove il mondo, la vita di tutti i giorni, ogni cosa è piccola e quasi insignificante.
Luca va verso la croce per la foto, mentre lo fa io non riesco a non guardare giù dalla Nord, mi chiedo in quale maledetto punto una delle persone che in assoluto ho ammirato di più se ne è andata lo scorso 16 ottobre.
Dopo pochi secondi dalla prima foto in vetta, Luca toglie da una tasca del suo giubbino la foto di un suo amico scomparso mesi fa mentre stava vivendo la sua passione della canoa, per averne una anche con lui in vetta.
Un gesto bellissimo, non ho mai dubitato della sensibilità del mio socio.
Mi ha fatto molto riflettere il fatto che entrambi, senza dirci nulla reciprocamente, in punto come quello abbiamo dedicato alcuni dei nostri pensieri a due persone che non ci sono più.
Non sono un gran credente, ma forse non serve esserlo per vedere nelle montagna il punto più vicino al cielo, all’infinito, a tutto quello che c’è stato prima e ci sarà dopo di noi.
Forse per un secondo abbiamo pensato che li, sulla vetta del Cervino, le nostre parole interiori potessero uscire con un volume più alto per poter esser ascoltate.
Non ho avuto il piacere di conoscere l’amico di Luca, ma so che era molto bravo in quello che faceva uno dei migliori in assoluto, proprio come Beppe.
Entrambi hanno vissuto la loro passione al 100%, entrambi hanno vissuto con un intensità tale che moltissime persone nemmeno in 1000 vite riuscirebbero a raggiungere.

Il mio sguardo è vuoto verso l’orizzonte, non cerco qualche cima nota ma mi godo quello che vedo.
Mi chiedo se un giorno lo risalirò, ma forse dentro di me la risposta c’è già.
Sulla vetta di un sogno continuo a sognare altri sogni, la cresta Zmutt, la parete Nord, la cresta Furggen.
Qualche foto insieme, un abbraccio di quelli “forti” e la discesa, ci aspetta.
Visto quello che abbiamo sofferto per la salita un pò di preoccupazione c’è, un bel pò.
Ci raggiungono dopo poco altri 3 ragazzi bresciani molto in gamba e decidiamo di unire le forze per le doppie e la ricerca della traccia giusta da seguire.
Se penso a come definire la discesa il secondo termine che mi vieni in mente (il primo ovviamente è pericolosa) è infinita.
Dalla vetta raggiunta verso le 11, riusciamo ad arrivare stremati alla capanna verso le 20.
Scendere alla macchina direttamente è impensabile.
I posti per dormire, che avevamo tenuti occupati con i nostri sacchi a pelo, ovviamente sono già occupati e dopo aver mangiato una busta di riso che qualcuno gentilmente aveva abbandonato alla cappana, tentiamo di dormire un pò dove capita, io mi butto su un tavolo e Luca in terra vicino ad altri alpinisti.
Riusciamo a buttarci a letto solo quando i primi alpinisti della giornata verso le 4 partono.
Colazione con qualche barretta restata sul fondo dello zaino e si prosegue per la discesa verso valle, attenzione e concentrazione sempre.
Le camminate a mente serena e spensierata in qualche bel sentiero delle dolomiti sono un sogno, ogni passo deve essere fatto con giudizio, lo stress mentale è alto praticamente per tutta la salita e la discesa del Cervino.
Dopo oltre 3:30 arriviamo in zona “erba” , i nostri piedi cammiano su erba...su qualcosa di colorato e verde che profuma tantissimo di vita ; roccie e ghiaccio per un pò basta!
Una birretta tutti insieme all’ultimo rifugio e poi giù con la funivia verso l’auto, verso l’autostrada, verso casa.
È stata un esperienza fortissima, un sogno che si è relizzato prima di tutto, dopo questa avventura ci sono molte cose che ogni giorni mi accompagnano, quasi come dei flash che mi mostrano un pò la strada nel buio.
I miei limiti ora sono un pò più chiari e sopratutto sono un pò più chiari i miei stupidi autolimiti.
Forse è servita qualche grande paura faccia a faccia per capire quanto altre paure sono piccola cosa e che uomo sono davvero, non lo so...l’unica cosa che però so bene è che continuerò ad allenarmi e a sognare, più di prima.

zaino in spalla...






quasi alla cappanna Carrel
 
 


un pò di pasta offerta gentilmente dalle guide non si rifiuta mai!

 
 
la nostra via di salita


 

pic tyndall quota 4200m
 

 


 
 
 
 
uno sguardo giù verso la Nord

Vetta italiana 4476 e vetta Svizzera 4478






uno sguardo verso breuil





...basta doppie per oggi

grazie
 

 
 

lunedì 23 luglio 2012

Oggi va cosi, riguardo questa foto e penso a quando non sapevo nemmeno camminare in montagna, a quando pensavo che il mondo era contro di me e che l'unico modo che avevo per vincere era ammazzarmi di palestra per diventare sempre più forte.
Scappavo, ogni giorno scappavo.
Dopo 7 anni da quel giorno apprezzo sempre di più quei passi lenti ma decisi, il respiro regolare quasi a non voler disturbare la natura, la ricerca costante di un equilibrio più che di uno scontro.

mercoledì 4 luglio 2012

Gran Paradiso, Parete Nord 16-17/06/2012

Capita spesso, a chi passa le giornate in ufficio litigando fra pc e cartacce, di arrivare a casa la sera con qualche segno di biro sulla pelle; piccoli segni che preso ci abbandonano.
Poi ci sono i tatuaggi, segni che si vedono e sempre si vedranno...frutto di qualcosa che in realtà viene inciso sottopellle.
Certe avventure alpinistiche sono solo dei segni di biro, altre sono dei tatuaggi.
Questa volta con Luca mi sono fatto un gran bel tatuaggio.
Ci sono sogni alpinistici che progettiamo da mesi,ogni tanto però capita quasi per caso che qualche nome nuovo si intrufoli dentro ai nostri sogni...ne parlano lo stesso linguaggio....ed è bellissimo provare ad aprire gli occhi per continuare a sognare.
Uno degli obiettivi di questa primavera un po’ disgraziata era quello di fare almeno una parete Nord, la candidata numero uno era la Nord del Pasquale che l'anno scorso ci ha rimandati a casa causa pessime condizioni...ma si sa...non sempre la candida numero uno è quella che vince! Luca mi butta li un nome...Nord del Gran Paradiso...e dopo qualche veloce informazione capiamo subito che da una relazione stampata può diventare un'Avventura.
Telefonata al rifugio Chabod: "per questo week end tutto pieno"...ma non c'è problema... la soluzione si trova!
Visto che il rifugio è pieno sospettiamo che ci sarà la fila per fare la Nord, quindi guadagnare del dislivello e del tempo verso l'attacco posizionando una tenda sul ghiacciaio ci sembra una buona soluzione.
...si...una buona soluzione con alcuni pro...ma anche con alcuni contro...portarsi la tenda vuol dire aggiungere peso e volume nello zaino...risultato... ci ritroviamo a partire con due zaini da 40 litri pieni in un modo scandaloso con di tutto appeso fuori...ma che due pirla che siamo...portarsi lo zaino da 70 litri no?va beh... tutta esperienza!
Sabato mattina ore 7:00 partenza, come cantavano gli articolo 31 "l'autostrada scivola veloce" e ben presto siamo pronti per la seconda colazione a Villeneuve(Aosta). Si respira già aria di montagna...ma sopratutto si respira! maledetta afa!Ancora qualche km ed entriamo nel parco del Gran Paradiso, rappresentato da uno stambecco che aimè non abbiamo avuto il piacere d'incontrare lungo il nostro cammino.
Alle 11, a circa 1800m mettiamo gli zaini in spalle direzione rifugio Chabod,il primo obiettivo è pranzare la e farsi riempire i termos per la domenica. Dopo circa due ore siamo comodamente seduti su di un tavolino in legno e fissiamo la parete...azz a vederla da lontano " la fa pora" ma si sa...quando poi ci si avvicina sembra sempre più docile (ce lo ripetiamo come un mantra per autoconvicerci).
Bel pranzetto, un pò di riposo e via...si riparte...
Il sentiero dopo il rifugio è molto evidente, risale la morena e in circa un'ora porta al ghiaccio. Le tracce per la via normale di salita sono molto chiare...per la Nord no. Capiamo subito che tutto sto traffico di gente al rifugio in realtà è per la via normale. Decidiamo di seguire una traccia che purtroppo però era stata fatta da allievi di un  corso cai, in cerca di un crepaccio per fare esercitazioni, quindi ripieghiamo per un'altra direzione...senza traccia e navigando un pò a vista per cosi dire.
A quota 3370m decidiamo che la tenda va messa li, se non altro perché siamo stanchi, cotti dal sole, assetati e "tutte quelle cose li"(chiaro no?).
Primo problema...creare una piazzola decente...ovviamente non abbiamo la pala(non ci stava nello zaino!) quindi con le piccozze iniziamo a creare qualcosa di vagamente piano.
Montata la tenda mangiamo, beviamo e cerchiamo di fare il punto della situazione...
La traccia verso la Nord sostanzialmente non c'è...le relazioni sono poco chiare allora ipotizziamo una linea per l'avvicinamento cercando si stare lontani dai seracchi del piccolo Paradiso ( che hanno scaricato più volte mentre montavamo la tenda) e dai crepacci.
Alle 20 entriamo in tenda ma di dormire non se ne parla...troppa luce..e non solo. La quota disturba entrambi e più che un meritato riposo è un'agonia. Sveglia alle 2:30...o meglio svegli eravamo già svegli! Prepariamo tutto con la dovuta calma e percepiamo chiaramente il "freschino" che ci aspetta fuori dalla tenda ( dentro il mio orologio segnava 1°).
La prima emozione della giornata è proprio li...dietro la cerniera della tenda...un cielo sereno, luce lunare praticamente assente e un lenzuolo di stelle da togliere il fiato per la bellezza.
Alle 3:30 circa ci mettiamo in moto, riusciamo a trovare un buon percorso e in un'oretta siamo pronti a superare la terminale.
Fisicamente la fessura terminale indica dove finisce il ghiaccio orizzontale e inizia quello verticale della parete...in realtà è molto di più.
La terminale è la voce della montagna...ti dice chiaramente che da li in poi si fa molto sul serio...
La prima parte della parete è neve trasformata molto compatta e perfetta per una progressione in conserva. Sale Luca davanti, imposta un buon ritmo alternando giusti riposi e progressione.
Saliamo abbastanza rapidamente di quota e arrivati circa a 2/3 della parete é il mio turno, il ghiaccio ha preso il posto della neve e la progressione deve essere a tiri di corda.
La pendenza non è certamente estrema, a occhio direi fra i 55° e i 60°(forse 65°) della parte finale...ma tutto si fa sentire, in primis l'aria rarefatta...il cuore picchia forte e più che per i muscoli ogni tanto devo fermarmi per far calare i battiti.
Il primo tiro passa via veloce sia per me che per Luca, il secondo tiro idem,l'astinenza da "picche", deposte a febbraio con l'ultima cascata fatta in val Daone è solo un ricordo e i movimenti iniziano ad essere più coordinati ed efficaci....
terzo tiro... c'è sempre più luce vicino a noi...le 7 sono passate da poco,sarà il tiro decisivo per arrivare sulla cresta? io dico di si..Luca dice di no...e infatti i 60 metri di corda non bastano...
Quarto tiro...ghiaccio non più cosi buono spesso sotto un po’ di neve, mi assicuro con le poche viti che abbiamo ma con il concetto chiaro in testa che è meglio evitare di provare se reggono...arrivo su una cornice della cresta e decido di affrontare direttamente e poi...e poi c'è quella scossa tremenda alla quale non ci si abitua mai...il buio,il freddo,la paura della parete finisce e davanti ai miei occhi c'è il sole, c'è un nuovo mondo che dall'altro versante della montagna non potevo vedere.
La cresta ha una buona traccia su neve per la vetta che a questo punto è molto vicina,c'è un vento fortissimo e freddo, assicuro Luca con le picche piantate nella neve...e ci siamo...siamo sulla cresta a pochi metri dalla vetta.
Prosegue Luca sulla cresta, non tremenda ma comunque necessita sempre della massima attenzione...ad un certo punto mi fermo, guardo a 360° intorno a me e non riesco a trattenermi, gli occhi sono lucidi e non per il freddo, l'emozione è troppo forte...tutto la fatica e i sacrifici in un secondo spariscono...la grandezza della natura è lì, posso vederla, toccarla, respirarla.
Dopo aver superato dei francesi sulla vetta, saliamo sul terrazzino dove è posizionata una madonna (mi astengo dal fare polemiche a riguardo per questa volta ma prometto che ne parlerò in seguito). Luca vedendo un chiodo sotto il terrazzino pensa bene di salire dritto fra i massi....mi sembra una soluzione un po’ strong ma funziona...il chiodo in realtà serviva per assicurare gli alpinisti nel traverso fra la cima e il terrazzo in realtà,la salita "classica" era dall'altro lato...ma non c'è problema! c'è una ressa paurosa...tutti i pullman di persone salita dalla via normale sono arrivati in vetta più o meno contemporaneamente a noi, pazienza! foto di vetta e giù veloci per mangiare e bere qualcosa sotto la cima.
Praticamente durante quasi tutta la nostra discesa sul ghiacciaio incrociamo persone che ancora stanno salendo dalla normale, svegliarsi prima no?
Recuperiamo la tenda e via verso il rifugio per pranzare...il rientro in effetti è stato massacrante, un sole pazzesco, temperature decisamente sopra la media e, anche rispetto al giorno prima a parità di orario, la neve era molto più molle.
Arriviamo stremati alla macchina...e visto che c'è un bel fiume non possiamo che saltar dentro per goderci qualche secondo nell'acqua gelata.
E' stata davvero una gran bella Avventura, soddisfazione a mille per tutto.
La voglia di "Nord" è cresciuta ancora...quale sarà prossima?

Luca e il suo "bambino"

  io e il mio "bambino"

 primo sguardo alla parete

 il nostro "rifugio"



Parte Luca


uno sguardo in giù
parte finale della parete



 Quasi fuori...
Luca in cresta


.. in vetta! Gran Paradiso! 4061m!
 rientro
la "nostra" parete ci saluta

sabato 19 maggio 2012

PORCI CON LE ALI - Parete di San Paolo - Arco (TN)

"Luca, non me la sento, facciamo le doppie e torniamo giù, mi dispiace"
Quella che doveva essere una grande avventura decido di fermarla dopo il secondo tiro.
Ho avuto paura, non sò se forse non sono ancora pronto per gestire vie alpinistiche di un certo livello, non sò se i sassi che ho visto cadere mi hanno spaventato oppure entrambe le cose...fatto sta che non avevo sensazioni positive e ho deciso di ascoltare il mio istinto e scendere.
Non è la prima volta che mi ritiro da una via, probabilmente non sarà l'ultima ma non importa, istinto e sensazioni in montagna forse più che in altri posti o situazioni sono da ascoltare.
Nostante il rientro non semplicissimo alle 12 siamo alla macchina, visto il sole, cosi raro in questo maggio decidiamo di goderci ancora qualche ora di roccia su qualcosa di spittato & facile sulla pareti di san Paolo, scegliamo porci con le ali...un nome che è tutto un programma!
Arrivati all'attacco parto bello carico ma il primo tiro con un pezzo di 6b mi crea subito qualche problema, risolvo velocemente...e via...verso una sosta che dal basso non si vedeva ed era molto affallota! pazienza...l'idea di una vietta veloce viene meno...tre cordate davanti a noi e non proprio in stile fratelli hubner! Secondo tiro non banalissimo fatto abbastanza rapidamente tranne il tratto appena prima della sosta.
Terzo tiro, super traverso/rampa facile, Luca arriva tranquillo in sosta. Quarto tiro un pò più complesso...partenza su una placca facile inclinata...e poi un traverso sotto un tetto per nulla banale...difficile da capire se era era il caso di stare più alti verso il tetto o più bassi...io decido di passare più alto mentre Luca poi mi dirà che è passato più basso...per finire una bella uscita su uno strapiombo bene appigliato e un piccolo diedro.
Gli ultimi due tiri li uniamo, da asino non avevo guardato la relazione  e in uno dei tanti rinvii che avevo messo non avevo notato l'altro spit vicino(chiaro segno di sosta!). per fortuna le mezze da 60 bastano e avanzano per sbucare fuori dalla placca finale dopo aver percorso un bel diedro e uno spigolo bello aereo.
La nostra sete di verticale è parzialmente placata per oggi, via nel complesso carina, sempre meglio di qualche ora in falesia...mettiamola cosi :-)

mercoledì 4 aprile 2012

Karl Reinhard - Senza compromessi

“Cercavo un esempio, un idolo, qualcuno che mi mostrasse cosa era possibile fare e questi fu Reinhard Karl”. Parole molto forti, il concetto di “idolo” è forse la massima espressione che un essere umano può usare per definire come vede un’altro essere umano, un gradino sotto la divinità o per chi è ateo si tratta proprio del gradino più alto.  Le parole hanno un peso a seconda di chi le dice, no? Questa parole sono state detta da Alexander Huber, questo mi è bastato per farmi comprare qualche mese fa questo libro.
Raramente quando compro un libro e lo leggo subito, ne ho sempre un paio li pronti in giro fra il mio comodino e la mia libreria; Quando ne finisco uno mi faccio guidare dal mio istinto e scelgo il successivo, spesso è una nuova avventura.
Questa volta il mio istinto mi ha portato a scoprire un personaggio eccezionale, uno che da una vita comune, banale, mediocre quindi triste, ha trovato se stesso nell’alpinismo. Storia già vista molte volte, ma sempre affascinate.
Tom Dauer, l’autore del libro, passa “ la palla” ad amici di Reinhard e a Reinhard stesso, tramite i suoi scritti, per far capire il personaggio, l’uomo, il sognatore.
L’approccio di Reinhard all’alpinismo non è accademico, ma pratico, vuole fare una cosa, scalare una parete, raggiungere una cima..semplicemente prova a farlo, insiste, lotta, cerca di capire cosa deve migliorare di se stesso e riparte.
Un approccio sicuramente nuovo per un mondo spesso troppo legato ad un fare accademico dei vari club alpini che, come in tutti i casi, finisce per ingessarsi e allontanarsi dall’approccio più genuino e pratico.
Reinhard non si pone limiti, non si pone tabù, vuole solo scalare, misurare se stesso, vivere costantemente in bilico fra il sogno della cima quando è a valle e il sogno della valle quando è in cima.
Non racconta viaggi idilliaci, non descrive dei sogni, ma degli incubi, fatti di sofferenza, paure, privazioni.
Notti trascorsi in tende da incubo o appeso in parete, momenti interminabili in attesa del bel tempo per attaccare la via, sporcizia, fame, sete, tutte cose che non sono escluse dalle avventure alpinistiche ma che sono vagamente sopportabili per la felicità che si può accarezzare in vetta.
Non ha paura di mostrarsi uomo, nonostante il suo livello tecnico elevatissimo, vive e racconta le cose come lo farebbe un bambino di 5 anni che si è perso nel bosco e poi riabbraccia la madre.
Uno smarrimento però volontario, alla ricerca di se stessi passando da una parete, da una cima, da una sfida.
Non se se vivere “senza compromessi” è la strada giusta, Hermann Hesse però diceper creare il possibile, bisogna sempre tentare l'impossibile", di sicuro Karl Reinhard l’impossibile l’ha tentato molte volte.

sabato 10 marzo 2012

Desiderio Sofferto - Monte Cimo-Brentino (VR) 10-03-2012

Questa volta è il buon Macca a scegliere la parete…e io a proporre un po’ di vie fra quelle "fattibili".
Sabato ore 6 partenza da casa mia, destinazione Brentino, via Desiderio Sofferto, un nome che è un programma!
4 tiri, grado massimo 6 a , discesa in doppia,  parete al sole,  roccia buona  e a completare il quadretto la possibilità di fare altre vie se il tempo e la testa lo concedono.
È la seconda volta che scalo in Brentino , la prima è stata sulla via “spigolo del quarto sole” che è in qualche modo nel mio cuore e che è una delle poche vie che ho fatto nel 2009 e che spero di ripete. 
Dentro di me ne porto un ricordo speciale,  al tiro chiave, il 6b circa a metà parete, l’altra cordata che era con noi non riesce a passare…e decide di ritarsi. La determinazione del Macca riesce a farlo passare, integrando con un friend, io arrivo al passaggio chiave e non riesco, mi blocco mentalmente, ho paura e da vigliacco decido che quello che ho fra le mani non mi basta per passare…tiro il friend…che però non era stato messo a regola d’arte ed esce ferendomi ad un orecchio…se fosse stato vero che ero messo male sarei dovuto volare…e invece no… quello che avevo per mani e piedi era sufficiente, mi sveglio, capisco che posso farcela e passo. Quella è stata una delle lezioni che ho avuto in parete che più spesso mi fa riflettere su quanto le mie paure e insicurezze mi fanno perdere la lucidità per usare al 100% le mie forze e le mie capacità…
L’altro ricordo che ho di quella parete è una persona, una persona che ora non c’è più e di cui prima o poi troverò il coraggio di parlare.
Eravamo alle prese con la seconda doppia per la discesa e per la prima volta incontrai Beppe in parete, poche parole in sosta e l’ho visto partire su un 7a con una lucidità, una calma, una precisione, una determinazione che non dimenticherò mai.
Mi aspettavo molto dal Brentino, la roccia non mi ha deluso, la via un po’ si.
Dopo circa un’ora di avvicinamento siamo al cospetto di questa “rampa” sovrastata da un tetto pauroso.
Primo tiro, parto io. Un lungo IV poco spittato e poco entusiasmante. Secondo tiro, parte il macca, si fa un pezzo di traverso verso destra e inizia a salire…arriva ad un muretto e inizia a tirare porconi…non riesce a passare….ci prova …ci riprova e si maledice perché c’è tutto ma manca solo un po’ di sana incoscienza…o sana coscienza di se stessi per fare il passaggio senza troppa esitazione…io sono un po’ perplesso…sulla carta non avremmo dovuto trovare nulla di cosi complicato!
In qualche modo arriva in sosta e io dopo di lui, con anch’io la mia bella dosa di porconi che volano per il Brentino.
Terzo tiro, il più lungo, parto abbastanza determinato, mi muovo con calma e cerco di usare la testa, ma la mia testa oggi non c’è , l’aria fredda, i pensieri, non so…non sono al 100%. Mi sparo tutti i 50 m di tiro con qualche esitazione sugli ultimi metri prima della sosta.
L’unica cosa che voglio è scendere il prima possibile da questa via, non mi piace, non mi da nulla.
Il macca si fa l’ultimo tiro, non seguendo le mie indicazioni va troppo a sinistra ma in qualche modo arrivamo su.
La sensazione è che abbiamo fatto un po’ zig zag fra le vie presenti nella parete, non trovando le cose più facili ma quelle un po’ più strong….non c’è problema…non me ne frega nulla in realtà…l’unica cosa che voglio è fare le doppie e scende!
Altra via per oggi? No grazie…magari un’altra volta.
 Ciao caro Brentino, a presto! Io porterò un po’ più di testa…e tu vedi di regalarmi una bella via!
la parete ancora in ombra... la via è sulla "rampa" sotto il super tetto

un primo sguardo in su


uno sguardo in giù dal terzo tiro



belli "carichi" prima delle doppie!