“Cercavo un esempio, un idolo, qualcuno che mi mostrasse cosa era possibile fare e questi fu Reinhard Karl”. Parole molto forti, il concetto di “idolo” è forse la massima espressione che un essere umano può usare per definire come vede un’altro essere umano, un gradino sotto la divinità o per chi è ateo si tratta proprio del gradino più alto. Le parole hanno un peso a seconda di chi le dice, no? Questa parole sono state detta da Alexander Huber, questo mi è bastato per farmi comprare qualche mese fa questo libro.
Raramente quando compro un libro e lo leggo subito, ne ho sempre un paio li pronti in giro fra il mio comodino e la mia libreria; Quando ne finisco uno mi faccio guidare dal mio istinto e scelgo il successivo, spesso è una nuova avventura.
Questa volta il mio istinto mi ha portato a scoprire un personaggio eccezionale, uno che da una vita comune, banale, mediocre quindi triste, ha trovato se stesso nell’alpinismo. Storia già vista molte volte, ma sempre affascinate.
Tom Dauer, l’autore del libro, passa “ la palla” ad amici di Reinhard e a Reinhard stesso, tramite i suoi scritti, per far capire il personaggio, l’uomo, il sognatore.
L’approccio di Reinhard all’alpinismo non è accademico, ma pratico, vuole fare una cosa, scalare una parete, raggiungere una cima..semplicemente prova a farlo, insiste, lotta, cerca di capire cosa deve migliorare di se stesso e riparte.
Un approccio sicuramente nuovo per un mondo spesso troppo legato ad un fare accademico dei vari club alpini che, come in tutti i casi, finisce per ingessarsi e allontanarsi dall’approccio più genuino e pratico.
Reinhard non si pone limiti, non si pone tabù, vuole solo scalare, misurare se stesso, vivere costantemente in bilico fra il sogno della cima quando è a valle e il sogno della valle quando è in cima.
Non racconta viaggi idilliaci, non descrive dei sogni, ma degli incubi, fatti di sofferenza, paure, privazioni.
Notti trascorsi in tende da incubo o appeso in parete, momenti interminabili in attesa del bel tempo per attaccare la via, sporcizia, fame, sete, tutte cose che non sono escluse dalle avventure alpinistiche ma che sono vagamente sopportabili per la felicità che si può accarezzare in vetta.
Non ha paura di mostrarsi uomo, nonostante il suo livello tecnico elevatissimo, vive e racconta le cose come lo farebbe un bambino di 5 anni che si è perso nel bosco e poi riabbraccia la madre.
Uno smarrimento però volontario, alla ricerca di se stessi passando da una parete, da una cima, da una sfida.
Non se se vivere “senza compromessi” è la strada giusta, Hermann Hesse però dice “per creare il possibile, bisogna sempre tentare l'impossibile", di sicuro Karl Reinhard l’impossibile l’ha tentato molte volte.